L'Archeologia indusriale
La vocazione del Santuario alle attività industriali
Cascata di Tivoli
Sopra potete ammirare la cascata di dell'Aniene, con un salto di oltre 120 mt alimenta le acque della centrale elettrica dell'Acquoria.
Tivoli deve molta della sua fortuna all’abbondante presenza di acqua, dovuta soprattutto al fiume Aniene, ma anche al passaggio di ben 4 acquedotti romani ed a una sorgente termale di acque sulfuree di colore bianco, chiamate per questo motivo dai romani “acque albule”.
Di tutta quest’acqua si fece e si fa grand’uso sin dall’antichità per le coltivazioni dell’uva pizzutello, degli asparagi ed degli ulivi.
Ma l’uso più intensivo dell’acqua di Tivoli fu fatto a scopi industriali.
Lo sfruttamento delle risorse idriche per uso industriale a Tivoli cominciò con l’avvento dei mulini ad acqua, che a Tivoli venivano utilizzati, grazie ad una ruota idraulica, soprattutto per la molitura delle olive e, intorno agli inizi dell’ottocento, anche per l’estrazione del pregiato olio di Tivoli, per mezzo di moderne presse idrauliche.
Il pastificio pantanella
La foto sopra fu scattata nel 1900 e ritrae il pastificio pantanella, oggi il rudere fa parte dell'archeologia industriale tiburtina
Nel 1887 le acque dell’Aniene furono sfruttate anche per la produzione industriale di pasta, da parte dall’azienda “Pantanella”. Oggi quel che resta dello stabilimento sono solo le mura periferiche i quattro corpi di fabbrica intorno a un cortile interno dove si affacciano portici, logge e terrazze. Ma rimane pur sempre una testimonianza di una archeologia industriale diffusa nella zona nata sul finire dell’ottocento.
Proprio sopra al pastificio, appena fuori le mura di Tivoli, sorge l’area archeologica del Santuario di Ercole Vincitore. Il complesso, che vanta un’estensioni di circa 3 ettari e fu costruito tra il I ed il II secolo A.C., poteva attingere per il suo fabbisogno idrico, dalle vicine cascatelle del fiume aniene.
La presenza di tanta acqua nei pressi del Santuario di Ercole Vincitore, trasformò più volte il sito archeologico, in importante zona industriale già nel medioevo. Grazie a due enormi “caldare” con ben due camere di combustione, nel santuario si scioglievano i marmi per produrre calce.
Intorno al 1600 il sito fu utilizzato per la produzione di armi, dove la camera apostolica vaticana vi produceva polvere da sparo.
Nel 1795 divenne una "ferriera" acquistata poi nel 1801 da Luigi Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone,
per costruirvi cannoni.
A partire dal 1815 il Santuario conobbe vari proprietari tra questi, nel 1884, la Società “Forze Idrauliche per gli usi civili ed industriali” che con l’avvento dell’elettricità, utilizzò le acque di Tivoli anche per produrre energia elettrica.
Centrale elettrica dell'Acquoria
In questa fotografia si ritrae una delle turbine che generano corrente idroelettrica
La società affidò all’ing. Canevari la costruzione di un canale che convogliava parte delle acque di antichi acquedotti e quelle di scarico della Villa D’Este in una torretta. Da qui precipitavano per 50 metri, andando ad alimentare la centrale elettrica dell’Acquoria. Fu così che nel 1886 Tivoli, grazie ai trasformatori Gaulard-Gibbs,fu la prima città al mondo ad avere la luce elettrica a corrente alternata, che solo dopo qualche anno erogò anche a Roma. Ciò fu possibile grazie a Mengarini Guglielmo, fondatore della Scuola Romana di Ingegneria Elettrotecnica dell’Università ''La Sapienza''.
La targa di commemorativa
La targa commemorativa posta accanto all'ingresso della "Cabina elettrica primaria di Porta Pia" di Viale del policlinico 129 a Roma
Lo scienziato il 4 luglio del 1892, realizzò la sua più grande impresa: costruì il primo impianto al mondo di trasmissione industriale di energia elettrica. Tale impianto trasformava la corrente prodotta dalla centrale ai piedi della città, in corrente alternata monofase su potenza. Questa trasformazione fu necessaria per poter portare l’elettricità a distanza significative, per esempio i 28 Km che separavano la centrale elettrica dell’Acquoria di Tivoli da Roma.
La Cartiera dei Segrè
Le caldaie per la bollitura delle paste
La società “Forze Idrauliche per gli usi civili ed industriali” aveva destinato il sito anche alla produzione artigianale della carta, oltre che alla produzione di energia elettrica.
Giuseppe Segrè, direttore di questa società, l’anno successivo alla realizzazione della centrale elettrica, decise di acquistare la cartiera denominandola “Società anonima delle cartiere tiburtine e affini”. In quel momento, grazie alla corrente elettrica, l'azienda potè passare da un’attività artigiana a una industriale. Inizialmente questa contava solo 20 operai, che però arrivarono nel 1933 ad essere 219 di cui 59 donne. In quegli anni la cartiera dei Segrè, era tra le più importanti realtà industriali della carta in Italia. Il proprietario, Giuseppe Segrè, aveva avuto un passato da dirigente nell’industria ceramica di Richard Ginori. Per questo si possono vedere ancora le vasche per la lavorazione della carta, rivestite di preziosa ceramica della famosa fabbrica di Pisa.
|
|